lunedì 13 agosto 2012

Settembre 2002-2012: nuovi scenari per le piccole e micro imprese, il mondo che cambia, il decesso del credito


Nel settembre 2002 un’Italia un po’ euforica correva sulle ali del debito. In particolare le micro e piccole attività crescevano come funghi. Il modello di business nasceva spesso dal seguente semplice presupposto: ”Non fa per me il lavoro dipendente, desidero essere un imprenditore: ho l’idea, ho le competenze, è il momento di osare”. Sovente ne conseguivano colloqui ed incontri con commercialisti e con rappresentanti di associazioni di categoria, dove il potenziale imprenditore avrebbe preso coscienza dei costi dell’attività e dei passaggi burocratici. Ed il capitale per avviare l’impresa?
Se di lieve entità, sarebbe bastato un semplice finanziamento, magari garantito da un confidi. Se di elevata entità, le garanzie familiari oppure ipotecarie avrebbero consentito di ottenere il mutuo. In questo modo molti piccoli artigiani e commercianti, cui si aggiungono anche professionisti, hanno avviato la propria attività, guidati dal più puro spirito imprenditoriale da cui origina il lavoro autonomo. Molti altri sono invece giunti a questa scelta spinti dalla terziarizzazione dell’azienda in cui operavano. Una piccola parte infine è nata sulla base di solide e sostenibili idee industriali e commerciali. Nelle mille sfaccettature di quell’Italia un comune denominatore accomunava i neo imprenditori: la facilità di accesso al credito. Infatti le banche erano veloci e non esitavano; i dinieghi di affidamenti erano una rarità, comunque il più delle volte superabile. Per i primi mesi di attività anticipi fatture ed anticipi salvo buon fine, uniti ai fidi di cassa, garantivano immediati ritorni ed un’immediata soddisfazione, ampliati da discrete marginalità. L’anno successivo la Legge Biagi, seppur con i propri limiti, avrebbe consentito la creazione di posti di lavoro, molto spesso all’interno di queste nuove imprese.

Oggi alle soglie di settembre 2012, l’Italia è un altro mondo. Gli imprenditori, ma più in genere le famiglie ed i giovani stanno assistendo al ‘decesso del credito’. Non vi sono opportunità di ottenere finanziamenti per nuove attività, oggi valutate ben oltre i criteri (non utilizzati nel 2002) di sostenibilità economica e finanziaria. Una potenziale impresa può nascere solo con capitale proprio, allo stesso modo in cui le aziende esistenti possono crescere solo con utilizzo di buona parte del proprio autofinanziamento (se ancora ce n’è). La Riforma Fornero ha posto importanti stop alle Legge Biagi: attacco alle finte partite iva ed alle finte collaborazioni, forte incentivazione (?!) del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato come contratto dominante, rischio di aumento del costo del lavoro.

In dieci anni il nostro Paese è cambiato fortemente sia per fenomeni esogeni (esterni) che endogeni (interni), accomunati sempre dall’espansione non sostenibile del debito. Lo Stato nel settembre 2002 aveva un debito pubblico che superava di poco i 1.410 miliardi di Euro: oggi il debito supera di poco i 1.970 miliardi di Euro. A questa stregua le banche italiane hanno perso enormemente il loro valore (ben oltre il 70%) e presentano attivi ‘inquinati’ da crediti in estrema sofferenza, cui seguirà un autunno caldo, come prevede uno studio del colosso olandese Ing (http://www.milanofinanza.it/news/dettaglio_news.asp?id=201208021341128977&chkAgenzie=TMFI).

In un Paese in queste condizioni, dove i cittadini, ma soprattutto le nuove generazioni, hanno perso la fiducia oltreché la speranza, ognuno deve prendere le decisioni che competono secondo le proprie responsabilità. Così hanno fatto famiglie, i lavoratori e le imprese, che ‘hanno stretto la cinghia’ ed hanno messo in gioco tutto. Così invece non stanno facendo altri due attori: le banche in primis. Quando c’era e c’è bisogno di aiuti di Stato (vedi il recente caso di Monte Paschi Siena http://www.wallstreetitalia.com/article/1401280/crisi/mps-salvata-da-decreto-2-miliardi-chiudera-400-filiali-e-licenziera.aspx) sono ‘banche di sistema’. Quando si tratta di utili e di concedere credito sono ‘enti commerciali’ e, quindi, a scopo di lucro; tanto è vero che dalla fine del 2011 hanno ridotto drasticamente l’erogazione di credito. In un’ultima analisi una menzione riservata alla politica: tutti noi abbiamo compreso l’inadeguatezza di questa classe politica che dal ’92-’94 non ha fatto che generare un disastro dietro l’altro. Che fare? Tutti i cittadini che oggi sono “amministrati” si impegnino nel loro piccolo ambito e promuovano tutti coloro che assumeranno impegni realizzabili e che lavoreranno per dare un nuovo futuro alla nostra Italia: un futuro ben diverso dagli anni del benessere costruito sul debito.







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