Nel settembre 2002 un’Italia un po’ euforica
correva sulle ali del debito. In particolare le micro e piccole attività
crescevano come funghi. Il modello di business nasceva spesso dal seguente
semplice presupposto: ”Non fa per me il
lavoro dipendente, desidero essere un imprenditore: ho l’idea, ho le
competenze, è il momento di osare”. Sovente ne conseguivano colloqui ed
incontri con commercialisti e con rappresentanti di associazioni di categoria,
dove il potenziale imprenditore avrebbe preso coscienza dei costi dell’attività
e dei passaggi burocratici. Ed il capitale per avviare l’impresa?
Se di lieve
entità, sarebbe bastato un semplice finanziamento, magari garantito da un
confidi. Se di elevata entità, le garanzie familiari oppure ipotecarie avrebbero
consentito di ottenere il mutuo. In questo modo molti piccoli artigiani e
commercianti, cui si aggiungono anche professionisti, hanno avviato la propria
attività, guidati dal più puro spirito imprenditoriale da cui origina il lavoro
autonomo. Molti altri sono invece giunti a questa scelta spinti dalla
terziarizzazione dell’azienda in cui operavano. Una piccola parte infine è nata
sulla base di solide e sostenibili idee industriali e commerciali. Nelle mille
sfaccettature di quell’Italia un comune denominatore accomunava i neo imprenditori:
la facilità di accesso al credito. Infatti le banche erano veloci e non
esitavano; i dinieghi di affidamenti erano una rarità, comunque il più delle
volte superabile. Per i primi mesi di attività anticipi fatture ed anticipi
salvo buon fine, uniti ai fidi di cassa, garantivano immediati ritorni ed un’immediata
soddisfazione, ampliati da discrete marginalità. L’anno successivo la Legge
Biagi, seppur con i propri limiti, avrebbe consentito la creazione di posti di
lavoro, molto spesso all’interno di queste nuove imprese.
Oggi alle soglie di
settembre 2012,
l’Italia è un altro mondo. Gli imprenditori, ma più in genere le famiglie ed i
giovani stanno assistendo al ‘decesso del credito’. Non vi sono opportunità di ottenere
finanziamenti per nuove attività, oggi valutate ben oltre i criteri (non
utilizzati nel 2002) di sostenibilità economica e finanziaria. Una potenziale
impresa può nascere solo con capitale proprio, allo stesso modo in cui le
aziende esistenti possono crescere solo con utilizzo di buona parte del proprio
autofinanziamento (se ancora ce n’è). La Riforma Fornero ha posto importanti
stop alle Legge Biagi: attacco alle finte partite iva ed alle finte
collaborazioni, forte incentivazione (?!) del contratto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato come contratto dominante, rischio di aumento del costo del
lavoro.
In dieci anni il nostro Paese è cambiato
fortemente sia per fenomeni esogeni (esterni) che endogeni (interni),
accomunati sempre dall’espansione non sostenibile del debito. Lo Stato nel
settembre 2002 aveva un debito pubblico che superava di poco i 1.410 miliardi
di Euro: oggi il debito supera di poco i 1.970 miliardi di Euro. A questa
stregua le banche italiane hanno perso enormemente il loro valore (ben oltre il
70%) e presentano attivi ‘inquinati’ da crediti in estrema sofferenza, cui
seguirà un autunno caldo, come prevede uno studio del colosso olandese Ing (http://www.milanofinanza.it/news/dettaglio_news.asp?id=201208021341128977&chkAgenzie=TMFI).
In un Paese in queste condizioni, dove i cittadini, ma soprattutto le
nuove generazioni, hanno perso la fiducia oltreché la speranza, ognuno deve
prendere le decisioni che competono secondo le proprie responsabilità. Così
hanno fatto famiglie, i lavoratori e le imprese, che ‘hanno stretto la cinghia’
ed hanno messo in gioco tutto. Così invece non stanno facendo altri due attori:
le banche in primis. Quando c’era e c’è
bisogno di aiuti di Stato (vedi il recente caso di Monte Paschi Siena http://www.wallstreetitalia.com/article/1401280/crisi/mps-salvata-da-decreto-2-miliardi-chiudera-400-filiali-e-licenziera.aspx)
sono ‘banche di sistema’. Quando si
tratta di utili e di concedere credito sono ‘enti
commerciali’ e, quindi, a scopo di lucro; tanto è vero che dalla fine del
2011 hanno ridotto drasticamente l’erogazione di credito. In un’ultima analisi
una menzione riservata alla politica: tutti noi abbiamo compreso l’inadeguatezza
di questa classe politica che dal ’92-’94 non ha fatto che generare un disastro
dietro l’altro. Che fare? Tutti i cittadini che oggi sono “amministrati” si impegnino nel loro piccolo ambito e promuovano
tutti coloro che assumeranno impegni realizzabili e che lavoreranno per dare un
nuovo futuro alla nostra Italia: un futuro ben diverso dagli anni del benessere
costruito sul debito.
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